di Mario Amato

Care compagne, Cari compagni,

È per me un grande onore essere qui con voi oggi e portare, se me ne darete l’opportunità, il mio contributo alle prossime elezioni federali. Devo premettere che non è stato facile accettare la proposta di candidatura avanzata dalla Commissione elettorale, che ho peraltro accolto con grande sorpresa e stupore: non ho mai avuto ruoli politici all’interno delle istituzioni e mi incuriosiva il fatto che qualcuno avesse pensato alla mia persona quale componente di un ottetto che ha il compito, importante e ambizioso, di portare al successo le idee, i valori e i principi socialisti, come avvenne quattro anni or sono. 

Da trent’anni opero nel mondo dell’associazionismo – l’intera mia vita professionale, a dire il vero – si è sviluppata all’interno di questa forma democratica di aggregazione di donne e uomini mosse da un obiettivo comune: dapprima nel sindacato, poi un breve ma intenso passaggio alla segreteria del PS e da venticinque anni in forza presso Soccorso Operaio Svizzero di cui, dal 2020, ho l’onore e l’onere di esserne il direttore. Altro fatto curioso questo perché, esattamente quattro anni fa da questo stesso pulpito, Chiara Orelli, allora direttrice di SOS Ticino – che ha diretto con grande professionalità, portandolo a successi prima imprevedibili – presentava a questo stesso consesso la propria candidatura alle elezioni federali del 2019. 

E allora il senso della mia candidatura doveva partire da qui, da questa coincidenza, o meglio, da questo evento sincronico, a significare che non è stato il caso ad indurre la Commissione elettorale ad indirizzarsi verso di me, quanto piuttosto l’esistenza di un disegno dai contorni ben precisi, come poi è emerso dalle indicazioni che la Direzione del PS ha fornito circa la composizione della lista per il Consiglio Nazionale. Tutto ciò ha quindi attenuato la sorpresa e lo stupore che avevo provato davanti alla proposta di candidarmi per il Consiglio Nazionale, inducendomi infine ad accettare la proposta di candidatura.

Ma quale poteva essere dunque il mio apporto, quali i temi sui quali condurre la mia campagna? Per rispondere a questa domanda non dovevo fare altro che ripercorrere quella trentennale esperienza lavorativa all’interno delle associazioni che ho prima menzionato e mi è apparso chiaro che tutto il mio percorso di vita ha ruotato intorno al concetto e al tema della giustizia. Mi sono sempre occupato delle persone più fragili e vulnerabili della società: lavoratori sfruttati e migranti schiacciati dal peso dell’ingiustizia, oppressi dall’irrazionalità delle scelte politiche, economiche e sociali che contraddistinguono questo nostro tempo. Figlio dello statuto di stagionale – che impediva i ricongiungimenti con i propri genitori in Svizzera – ho vissuto sulla mia pelle le ipocrisie di una politica migratoria che non vedeva le donne e gli uomini, ma solo le braccia. Da bambino ho vissuto con timore e orrore le iniziative Schwarzenbach e quel diffuso senso di xenofobia e razzismo che esse generavano, facendoti sentire sospetto diverso. 

È però da questo sentimento di essere diverso che ho preso forza e da qui sono maturate le mie scelte professionali e di vita, la mia vicinanza agli umili e agli oppressi. 

Sulla base di tali principi mi batterò per una politica migratoria accogliente e dal volto umano, per una Svizzera che sappia riconoscere alla totalità della sua popolazione i diritti di partecipazione alla vita democratica, semplificando e spoliticizzando il processo di naturalizzazione. In quest’ottica sono tra i promotori dell’iniziativa popolare “Per un diritto di cittadinanza moderno” (Iniziativa per la democrazia) presenta a Berna lo scorso 23 maggio.

È quindi questo, se lo vorrete, il contributo che mi sento di portare a questa campagna elettorale. La giustizia, come affermava Dwarkin, deve mirare a realizzare l’uguaglianza rispetto alla sorte, dove il destino delle persone deve dipendere dai loro scopi, dai loro progetti di vita e non dall’arbitrarietà delle circostanze.