Laura Di Corcia

Care compagne, cari compagni,

oggi vorrei parlarvi di cose che non si vedono.

 

Partiamo dalla cultura, il tema su cui punterò l’accento per le prossime elezioni federali: un termine di cui si parla tanto, ci si riempie tanto la bocca: ma conosciamo veramente il suo significato più profondo? 

 

Cultura proviene dal latino colere, coltivare. Quindi per cultura si intende quel processo che richiede tempo e cure costanti, affinché dalla terra nascano i frutti che sono fonte di sostentamento e nutrimento. La maggior parte di questo processo, lento, avviene sottoterra: non si vede. Per questo il settore culturale, che ha a che fare con la coscienza critica dei cittadini e che come l’ecologia punta a un futuro sostenibile, venga visto da molte persone come qualcosa di inutile e subisca tagli spesso anche molto pesanti. Noi vogliamo difendere questi tagli. Di cultura non si vive, si dice. Dipende cosa intendiamo per vivere e quali sono i valori su cui vogliamo fondare la nostra cittadinanza.

 

La cultura ha a che fare con l’utopia, che etimologicamente significa il non luogo. Anche questo non si vede, non nell’immediato. La cultura immagina mondi che non ci sono ma che potranno esserci, un domani, se vogliamo, se li sappiamo costruire. Senza cultura vivremmo in un mondo in cui sono ancora presenti la legge del taglione, la pena di morte, gli abusi impuniti dei potenti ai danni dei più deboli. La cultura non solo punta a migliorare le condizioni del presente, ma tende a risvegliare le coscienze dall’ottundimento, a fare in modo che le conquiste fatte non vengano messe in discussione. Qualcuno parlava di coscienza di classe: mai come oggi mi sembra che questa coscienza sia annebbiata e abbia bisogno di essere riportata alla luceattraversoil pensiero e la capacità di analisi.

 

Abbiamo tanto da fare, ancora, riguardo al razzismo, alla parità fra uomini e donne, ad un’economia che diventa sempre più rapace e che si dimentica degli ultimi, salvo quando servono per lavorare a basso costo sfruttati. Il mercato del lavoro diventa sempre più insostenibile e i diritti vengono erosi. La vita delle persone diventa sempre più pesante. 

 

Mi chiamo Laura Di Corcia. Sono nipote di emigranti che negli anni Sessanta hanno dovuto abbandonare la terra di origine, non senza nostalgie e rimpianti, per lavorare in fabbrica a San Gallo. I miei nonni hanno vissuto vent’anni in Svizzera tedesca e hanno imparato sì e no dieci parole: un’integrazione non proprio riuscita, non credo per colpa loro. Per questo sono particolarmente sensibile ai diritti dei migranti, che oggi rappresentano quello che ieri eravamo noi. Invisibili che portano la loro forza lavoro che ci fa comodoma che non preferiamo spesso non vedere, forse perché l’ingiustizia che le loro storie portano a galla ci provoca non pochi sensi di colpa.

 

Voglio citare in conclusione un pensiero di Antonio Gramsci: “Ogni rivoluzione è stata preceduta da un intenso lavorio di critica, di penetrazione culturale, di permeazione di idee attraverso aggregati di uomini. Se è vero che la storia universale è una catena degli sforzi che l’uomo ha fatto per liberarsi e dai privilegi e dai pregiudizi e dalle idolatrie, non si capisce perché il proletariato, che un altro anello vuol aggiungere a quella catena, non debba sapere da chi sia stato preceduto, e quale giovamento possa trarre da questo sapere”. Aggiungo una mia postilla e questa volta concludo: rivoluzione è pensiero, è immaginare nuovi mondi, che oggi non si vedono e domani si vedranno, se ci impegniamo: la stessa cosa che fa la cultura.

Laura Di Corcia